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Patagonia – Egger Project 2022

Patagonia – Egger Project 2022

Tratto dai diari di Ermanno Salvaterra, Fabrizio Rossi e Roberto Pedrotti

“Prepararsi per questa spedizione Patagonica è stata una cosa molto lunga e laboriosa anche se, va detto, grazie alla fama di Ermanno, alcune ditte del settore sportivo alpinistico ci hanno fornito vari materiali. Dopo essere passati in Zamberlan, Grivel, Mico e Geologic, siamo stati infine a Lecco, dove nasce e risiede l’azienda Ande, e qui abbiamo conosciuto la famiglia Anghileri, con Aldo capostipite dotato di un’energia eccezionale, Sara e Luca i figli e la moglie di Aldo, Giulia, ed il loro team di lavoro. Tutti ci hanno accolto con forza ed un entusiasmo sorprendente e, oltre ad averci fornito abbigliamento, tipo giacche, pantaloni, e maglie, hanno costruito appositamente per noi una tuta integrale stile “guscio integrale”, che poi, avendola provata lì in Patagonia, si è rivelata ottima: grazie, siete stati fantastici!” – Roberto (Pedro) –

Partita dall’ Italia il 13 ottobre, la cordata composta da Ermanno Salvaterra, Fabrizio Rossi e Roberto Pedrotti (Pedro) raggiunge la Terra del Fuoco e il quarto componente della spedizione: Marquiño Scallabrine.

I primi giorni sono dedicati al riposo e a portare avanti i preparativi a El Chaltén.

“La permanenza a El Chaltén si prolunga più del previsto. Stiamo cercando, infatti, di contattare Tato, il gestore del rifugio Piedra del Fraile, il quale dovrebbe fare un trasporto sacconi fino al rifugio con il quad. Alla fine, dopo alcuni giorni, riusciamo a metterci d’accordo con Tato e quindi decidiamo di entrare alla Piedra”. – Roberto –

patagonia

Tra il 18 e il 21 ottobre i giorni sono occupati per trasportare i dieci sacconi fino alla Piedra del Fraile e da lì proseguire poi al Rio Pollone (ad appena un’ora dal Fraile). Nonostante il tempo non sia propriamente favorevole, con l’aiuto di tre porteadores i sacconi vengono trasportati fino a poco sotto il Paso Marconi. Rientrati a El Chaltén per il maltempo, il 23 ottobre Fabrizio, Roberto e Marquiño ripartono verso il Fraile. Ermanno per un problema alla cervicale è costretto a fermarsi al villaggio, e con non pochi sensi di colpa!

“La Piedra del Fraile. Lo storico posto dove negli anni ’30 arrivò il nostro Frate italiano Padre Maria Alberto de Agostini. Piedra perché c’è la pietra che era il suo letto. Storia affascinante!”. – Ermanno-

tuta ande

24 ottobre: sveglia alle 4. Pedro, Marquiño e Fabrizio, carichi di un saccone a testa, ben appesantiti, si dirigono al deposito poco sotto il Paso Marconi. Negli eventi di oggi inizierà la rocambolesca disavventura che porterà alla perdita di un saccone… Infatti, giunti sul Glaciar Marconi, anziché proseguire fino al deposito, Marquiño chiede di fermarsi e tornare al Fraile: il meteo sta per cambiare e l’unica soluzione è girare i tacchi e rientrare. Propone dunque di lasciare i tre sacconi lì dove s’è fermato, in un punto tra le rocce prima del canale di scarico delle incombenti seraccate del Glaciar Marconi.

Il giorno successivo partenza alle 5 dal Fraile per tornare al punto del Glaciar Marconi dove sono stati lasciati i tre sacconi. Salendo più leggeri, in quasi quattro ore sono lì. Il problema è che, avendo da trasportare anche alcuni alimenti e gli sci, non riescono a portare via tutto. Viene dunque lasciato tra quelle rocce un ultimo saccone: l’intenzione è di passare a prenderlo quando saliranno tutti e quattro definitivamente al Paso, per comporre le slitte e dirigersi al Circo de Los Altares.  Peccato che le cose non andranno proprio così…

Quella sera rientrano a El Chaltén e rivedono Ermanno. È molto contento del gran lavoro fatto: in tre hanno praticamente ultimato tutti i trasporti fino al deposito presso il Paso Marconi!

29 ottobre: dopo diversi giorni di maltempo (al Chaltén ha piovuto, in montagna ha nevicato moltissimo), ripartenza per tutti e quattro, direzione Fraile!

Dal Fraile partono poi per raggiungere il deposito e comporre le slitte per attraversare finalmente lo Hielo Continental, diretti al Circulo de los Altares! Lungo il tragitto, passano dal punto del Glaciar Marconi per riprendere quell’ultimo saccone… ma non si trova: le precipitazioni dei giorni scorsi hanno accumulato metri di neve in quel punto, facendo pensare che sia stato sepolto. Grazie ad una foto scattata dal Pedro, riescono a riconoscere il masso accanto al quale l’avevano depositato, qualcosa però non torna: quel masso nella foto aveva una punta, mentre ora non ce l’ha più… Anche i massi attorno non corrispondono: che sia scesa una valanga? O una enorme frana? Impossibile immaginare cosa sia accaduto ma, il sentore che non sia stato semplicemente sepolto dalla neve, invade subito le teste di Roberto e Fabrizio! Ermanno, nel frattempo, tenta invano di sondare il terreno sperando di trovare prima o poi il morbido saccone. Ma purtroppo niente da fare.

“Partiamo dalla Piedra del Fraile alle cinque di mattina, arriviamo nel punto dove avevamo lasciato il saccone ma il saccone non c’è più. Cerchiamo, prima pensando di aver sbagliato posto poi, dopo almeno un’ora e mezza, grazie ad una mia foto, riusciamo ad individuare il posto esatto in base alla fessura – indiscutibilmente quella sul masso dove stava il saccone – ma il posto è irriconoscibile: una frana sul fianco del ghiacciaio, un pendio di roccia, ghiaia e massi enormi si è mosso colpendo il posto dove avevamo il nostro saccone, seppellendolo”. – Roberto –

Dopo diverse ore, per evitare che faccia buio, ripartono verso il deposito sotto al Paso Marconi. Marquiño propone di passar la notte al coperto: a circa un’ora e mezza da lì, infatti, sorge il comodo bivacco Gorra Blanca di cui avevano parlato con i porteadores, essendo un ottimo punto di appoggio, frequentato spesso da chi compie la traversata del Hielo. I dubbi sulla percorrenza di questo tratto in più sono tanti, pertanto, il “bivacco all’addiaccio” avrà la meglio: notte gelida per terra, dormendo tra le rocce presso il deposito. Il vento non dà tregua, si incanala perfettamente tra le rocce e sbatte addosso parecchi aghi di ghiaccio.

panoramica patagonia

31 ottobre: giornata ventosa e gelida. Con gli sci per diverse ore vengono trasportati i sacconi fino ad un punto in cui il Paso Marconi spiana. Sarà il nuovo deposito, da cui facilmente comporre le slitte. Fabrizio e Roberto scendono nuovamente fino al Glaciar Marconi armati di due pale: tentano ancora di liberare dalla neve il punto in cui avevano lasciato il famoso saccone, ma senza risultato. Roberto, lavorando nel settore dei disgaggi, conosce bene queste operazioni: l’unica speranza è di rimuovere le pietre franate con un piccone. Non resta, quindi, che camminare per ore fino a El Chaltén, in cerca di un piccone.

1 novembre: “Grazie alla incredibile generosità degli abitanti di El Chaltén, io e Pedro riusciamo a farci prestare un piccone. Non è l’ultimo modello sul mercato, ma ci accontentiamo. Per non perdere tempo, ripartiamo subito per risalire l’infinita vallata del Rio Electrico. Il meteo non è dalla nostra, ma non possiamo fermarci a riposare: abbiamo una missione da compiere ed è meglio ricongiungerci al più presto con Ermanno e Marquiño, non potendo comunicare con loro”. – Fabrizio-

Lottando col vento, che in diversi momenti li butta a terra, dopo diverse ore arrivano al punto della frana. Ma, anche col piccone, non riescono a estrarre nulla. Guardandosi attorno, ora che parecchia neve s’è sciolta, si rendono davvero conto di quanto avvenuto: dal pendio alle loro spalle non è scesa una semplice frana, ma enormi blocchi di roccia larghi 5-6 metri… Finalmente è possibile capire perché il masso nella foto non ha più la punta: un blocco di roccia grande come un letto matrimoniale l’ha impattato ribaltandolo! Delusi e amareggiati non possono far altro che rinunciare alla ricerca del saccone, rimasto sotto quel gigantesco masso; risalgono dunque al deposito sotto al Paso Marconi, dove restano ancora parecchi sacconi da trasferire più su insieme agli altri. In uno di questi, Ermanno ha lasciato un biglietto per avvisare che lui e Marquiño li attendono al bivacco Gorra Blanca. Ma è quasi buio, così Pedro e Fabrizio trascorrono la notte lì, cercando un punto più riparato della volta precedente.

2 novembre: Alba più mite del primo bivacco e vento assente. Fabrizio e Pedro discutono sul da farsi: raggiungere subito gli altri al Gorra Blanca? O prima completare il trasferimento di quei sacconi al deposito superiore, così da aver tutto pronto per le slitte? Alla fine, scelgono di far questo sacrificio in più: super carichi, facendo su e giù con gli sci, riescono in due faticosi viaggi a completare il trasporto al deposito, stanchi ma soddisfatti del lavoro fatto! Approfittando dell’assenza di vento, prima di ripartire per il Gorra Blanca, fanno un inventario per sapere con esattezza cos’è andato perso nel famigerato saccone.

“Scendiamo sotto il Paso per fare un carico e poi di nuovo qui. Ah, il Gorra Blanca dal Paso Marconi dista poco più di un’ora. Il giorno dopo scendiamo per un lungo tratto per vedere se arrivano i nostri soci ma niente. Una mezz’ora prima di essere al Gorra guardiamo verso il Marconi e vediamo due puntini. Gli vado incontro e via tutti al Gorra Blanca. Rieccoci di nuovo insieme… ma del saccone niente”. – Ermanno-

3 novembre: Ore 5 partenza: in mezz’ora si scende con gli sci al deposito dove vengono composte le slitte. Alle 16, dopo diverse ore di traversata dello Hielo, arrivano al Circulo de Los Altares: che luogo pazzesco! Finalmente vedono la “loro” parete, il Cerro Torre, il Filo Rosso…

“Dal Gorra Blanca al Paso Marconi e avanti diversi chilometri sullo Hielo Continental per portarci con le nostre “slitte” con tutti i sacconi al Circulo del Los Altares. Proprio come dicono le parole. Il circolo degli altari. Infatti, arrivati a questo bivio, sopra di noi si stagliano nel cielo gli altari. A destra le Adele, poi dall’Adela il piccolo intaglio, il Colle della Speranza, dove inizia la maestosità del Cerro Torre e dove continuano le sue sorelle: la Torre Egger, la Punta Herron, il Cerro Standhardt. Poi l’Aguja Bifida, los Cuatros Dedos e poco più a sinistra l’imponente Cerro Domo Blanco e per chiudere il Cerro Rincon. Lasciamo lo Hielo e in meno di un’ora siamo al Filo Rosso. Questo nome lo diedero i Ragni di Lecco quando, nel 1974, effettuarono la prima salita al Cerro Torre salendo il versante Ovest della montagna più bella del mondo…”. – Ermanno

Fin da subito notano però, che la parete è quasi tutta asciutta: la stagione è stata troppo secca e ha nevicato tardi. Sulle cenge non c’è la neve che servirebbe.

“Riusciremo ugualmente a proseguire nel progetto? Cosa scioglieremo per bere e cucinare, se ci occorre passare un mese in parete?”  – Fabrizio-

Parete ovest
panoramica torre egger

Pensieri e preoccupazioni ricorrenti di tutti e quattro. Ad ogni modo, non c’è tempo da perdere: prima del buio, se vogliono evitare un’altra notte all’addiaccio, devono scavare la truna.

Il giorno successivo salgono con le pelli per raggiungere l’attacco della parete, monitorare i primi tiri e lasciare le corde fisse. La giornata è molto (troppo) calda e senza vento. Quando a metà pomeriggio ritornano alla truna, scavano diverse ore per ampliarla.

5 novembre: Discussioni sul da farsi. È possibile realizzare questo progetto se la neve in parete è quasi assente? Basteranno i viveri? Una parte di cibo era nel saccone sepolto dalla frana e mangiando tre biscotti a testa a colazione e due barrette lungo tutta la giornata, non è possibile andare molto lontano…

Il mattino seguente dopo altri momenti di confronto la squadra decide di portare avanti il progetto, consapevole però che la necessità di ulteriori viveri è una condizione essenziale per procedere, pertanto, qualcuno dovrà scendere nuovamente a El Chaltén per i rifornimenti. Saranno Fabrizio e Marquiño ad affrontare la lunga discesa verso il villaggio, e la conseguente risalita. Nel frattempo, Ermanno e Roberto possono proseguire ad attrezzare la prima parte della via.

Pedro sale la prima corda fissa e poi parto io. Pochi metri e sento un boato. Non mi giro nemmeno. Lo vedo solo dopo pochi minuti quando, alla fine della mia risalita a jumar, raggiungo il Pedro. Anche lui è stato raggiunto da quella nuvola bianca come me. Poi continuiamo a salire e mettere altre corde fisse”. – Ermanno-

10 novembre: dopo varie vicissitudini dettate ancora dal mal tempo, alle 18 circa Fabrizio e Marquiño raggiungono Roberto ed Ermanno, il quale chiede a Fabrizio e Marquiño di prepararsi per salire, l’indomani a montare altri tiri. Dopo vari confronti nel gruppo, Marquiño confessa di non sentirsela. Così, all’alba del 11 novembre abbandona il progetto, ripartendo per scendere a valle.

12 novembre: portaledge in spalla e salita fino all’attacco della via. Dalla truna sono circa tre ore. Risalgono fino al Sanadal. Tocca quindi a Roberto proseguire dalla sosta, scalando qualche metro in libera per poi attaccare un diedro in artificiale. Giornata davvero molto fredda!

Giusto il tempo per coprirsi bene e, l’imprevisto: salta il chiodino su cui il Pedro si è appeso per iniziare la scalata in artificiale, sbottonando le protezioni precedenti. Volo di almeno 15 metri, finendo di circa 5 mt sotto la sosta. Inutile dirlo: che spavento! Iniziano così le operazioni di calata, rientrando a fatica, fino alla truna, dove Ermanno mette in pratica medicazioni varie. Morale a terra, ma poteva andare ben peggio.

“Un attimo, un istante, non mi accorgo di nulla. Il chiodo sul quale sono appeso esce, sarò 10 m da terra. Volo, sento lo strattone del friend che esce anche quello, esce anche il cordino dello spuntone, atterro sulle placche appoggiate sotto il dietro. Ho sbottonato il tiro, come si suol dire. Decollo bene, volo bene, ma l’importante è l’atterraggio: atterraggio male. Ma alla fine non malissimo! Cerco di controllare se sono tutto intero la mano destra sanguina molto. Ho un brutto taglio sulla nocca dell’indice vicino alla mano e anche il piede sinistro non è messo benissimo, inoltre mi fa molto male il ginocchio destro. Guardo in alto verso Ermanno, non lo riconosco nemmeno ma probabilmente sono troppo troppo smarrito. O forse lo siamo entrambi. Guardo Fabrizio, mi parla ma non capisco bene cosa dice, siamo tutti scioccati. Risalgo sulla corda nel canale, mi tolgono le scarpette, mi mettono gli scarponi, tamponiamo la mano che perde molto sangue. Ermanno mi cala alla sosta sotto 50 m e qui attendo solo, mentre loro sistemano il materiale. Mi sembra un tempo lunghissimo, mi infilo il guanto a fatica sulla mano fasciata. Arriva Fabri e subito dopo Ermanno che poi scende per primo sulle fisse, poi vado io, mi calo con la mano sinistra, segue Fabri, Ermanno mi assiste come una brava guida con il cliente, arriviamo in fondo alle corde fisse, sul ghiacciaio, ma dobbiamo toglierci velocemente da qui. Non è un bellissimo posto dove fermarsi, ci leghiamo e iniziamo a scendere molto lentamente. Il piede fa male. Nel tratto più brutto – passaggio ripido – Ermanno mi assicura dall’alto con la corda. Procediamo. Ogni passo che carico sul piede sinistro un dolore allucinante…”  – Roberto –

“Lo recuperiamo, me lo abbraccio… perde un po’ di sangue da una ferita che ha sulla mano. Chi se ne frega della via… dobbiamo scendere e fine. Non è facilissimo, ma il Pedro è il Pedro. Con pochissimo aiuto arriviamo sul ghiacciaio, gli fa male anche un piede, ma piano piano dopo alcune ore arriviamo alla truna..”. – Ermanno –

13 novembre: Giornata di riposo. Fuori c’è nebbia, poi vento, poi sole… Nel pomeriggio, piove e nevica.

I giorni seguenti il meteo non è clemente, il forte vento rende necessario mettere in atto opere di ristrutturazione dell’ingresso della truna. Roberto è ai riposi forzati a causa della botta al piede. Notti gelide e discussioni sul da farsi.

L’incidente di Roberto, a malincuore, impone una decisione alla cordata: ritirarsi. Viene stabilito che, appena il meteo tornerà dalla loro, Ermanno e Fabrizio saliranno per smontare le corde fisse e sistemare i vari materiali.

16 novembre: Al risveglio, un muro di neve blocca l’ingresso della truna. Si mettono subito all’opera, liberando il passaggio: inaspettatamente, fuori vengono accolti da alcuni raggi di sole che favoriranno i preparativi per organizzare la ritirata.

18 novembre: Ermanno e Fabrizio escono di prima mattina dalla truna… facendone ritorno solo alle 20! Giornata intensa e gelida, molto ventosa. Risalita in parete fino al bivacco Sanadal. Lottando con il vento, sistemano i materiali e iniziano a smontare le lunghezze attrezzate precedentemente.

Si avvicina l’imbrunire, ma il vento rallenta parecchio e in diversi momenti li butta a terra. Alla base del pendio, ormai a poche centinaia di metri dalla truna, i due vedono Roberto andargli incontro: era molto preoccupato, non vedendoli ancora rientrare. Cammina meglio e riesce a star in equilibrio nonostante le forti raffiche: buon segno!

21 novembre: sveglia alle 4.45, preparazione delle slitte con tutti i sacconi, sci ai piedi e si parte. Previsioni meteo azzeccate per quanto riguarda il vento, quasi del tutto assente consentendo ai tre di attraversare lo Hielo. Scende però la nebbia con una fastidiosissima pioggerellina mista neve… con le tute ANDE non temono di bagnarsi, ma la nebbia fino al Paso Marconi può essere un pericolo, causando il whiteout che impedirebbe di orientarsi (il satellitare non dà il tracciamento GPS). Verso le 14 riescono ad arrivare al Paso Marconi. Stanchi e con Roberto che accusa dolore al piede, ma con ancora otto ore di luce a disposizione. Visto il peggioramento previsto per i prossimi giorni decidono di proseguire scendendo direttamente al Fraile. La pioggia però aumenta.

“Quando guadiamo il Rio Pollone, per fortuna non così gonfio di acqua come temevamo, sono già le 21. Mi viene in mente che il rifugio Piedra del Fraile, che da lì dista ancora un’ora, chiude alle 22: oltre quest’orario ci si deve accontentare del locale invernale… a pancia vuota. Nonostante il peso del saccone e la pioggia torrenziale, allora accelero il passo: riesco così ad arrivare dieci minuti prima che chiuda, chiedendo di attendere l’arrivo di Ermanno e Pedro e supplicando un piatto caldo per tutti… Dopo oltre 14 ore di trasporti, discese, ghiacciai e pietraie, tra neve e pioggia, non potevamo certo rischiare di trovare il rifugio chiuso!” – Fabrizio –

22 novembre: Discesa al ponte del Rio Electrico e rientro al paese.

26 novembre: Ritorno al Fraile per risalire, l’indomani, al punto sopra il Glaciar Marconi in cui sono stati lasciati gli altri sacconi da riportare a valle.

27 novembre: Sfruttando quella che sarà l’ultima finestra di bel tempo per le successive due settimane, riescono a riportare a valle due sacconi su quattro. Per un malinteso con Marquiño, gli altri due restano poco sopra il Glaciar Marconi: tornerà a riprenderli alla prossima ““ventana” di bel tempo!

“Siamo ormai in pensiero per il ritorno in Italia. Ieri abbiamo lasciato l’hotel Las Piedras e ci siamo trasferiti in una casetta di proprietà di Carolina, la dottoressa storica di El Chaltén, amica di Ermanno, una bella donna, intelligente e sempre disponibile. Per qualche giorno ci presterà a titolo gratuito una casa. Abbiamo anticipato il volo, il 30 si vola e il 2.12.2022 a casa”. – Roberto –

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