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Smaranda Chifu con le biciclette nel paesaggio islandese

L’Islanda in bicicletta: il viaggio di Smaranda Chifu

di Smaranda Chifu

Due bici, una tenda, i sacchi a pelo: un’avventura che mi ha cambiato

Ammetto che la prima cosa che mi son chiesta, quando ho prenotato il volo, è stata se non mi stessi tradendo, in qualche modo. Perché alla fine ci costruiamo addosso un’identità, ce la tessiamo attorno come dei ragni, una tela così tanto intricata da esserne le prime prede. Ho sempre parlato di montagna, perché di fatto sono una che di base va a scalare e a sciare. E prima ancora di chiedermi se io fossi serena di come utilizzo il mio tempo, il mio corpo e alla fine sì, pure i miei soldi, mi sono chiesta cosa ne avrebbero pensato gli altri di questa scelta, di lasciare per un attimo, un attimo poi durato due settimane appena e qualche weekend di allenamento nei mesi precedenti, dicevo, di lasciar perdere per un attimo la montagna.

Ma alla fine mi son fidata, della pancia direi. E dell’intuito che mi ha suggerito, come spesso m’è successo nella vita sulle scelte quelle importanti davvero, che certe (tante) cose le avrei capito dopo o, in questo caso, strada pedalando.

L’Islanda, terra così tanto nordica da essere più vicina alla Groenlandia che all’Europa, terra così tanto viva da esser diventata negli ultimi anni un parco giochi geologico per jeep 4×4 con ruote alte un metro e mezzo e il tubo di scarico in alto, per guadare i fiumi. Molto instragrammabile come immagine. Perché appena abbandoni la ring, la strada asfaltata che ne disegna il perimetro collegando i pochi centri urbani che insieme arrivano a 300.000 abitanti, in mezzo c’è il nulla. Ci sono fiumi, strade sterrate, cascate, vulcani, pecore, cascate, pecore, geyser, cascate e…l’ho già detto pecore?

Una terra a lungo sognata

L’avevo a lungo e spesso pensata, perché i progetti prima ancora d’essere vivi, sono pensati. L’avevo pensata vedendo i selfie delle persone con lo sfondo le sue più famose cascate e m’era sembrato poco, come se a quel luogo fosse richiesto d’essere soltanto questo: uno spettacolo, uno show, un circo geologico dove offendersi se il vulcano è spento, perché sia mai che si ritorni da questo posto senza una foto in cui il delfino, bravo e obbediente, tiene la palla sul muso in perfetto equilibrio.

Quando abbiamo prenotato il volo avevo traslocato e ristrutturato una casa da appena sei mesi e nei sei mesi a seguire l’avrei fatto ancora. La mia salute mentale negli ultimi anni aveva raggiunto quello che avevo riconosciuto come limite. Non so come, ma nella testa di molti si forma questa strana idea secondo cui la serenità e l’equilibrio sono la nostra configurazione di base, l’assetto con cui usciamo dalla confezione. Di conseguenza, se stare bene è la prassi, stare male diventa un’anomalia, una disfunzione, qualcosa che ci fa scivolare via dai binari della normalità lasciandoci soli e sbagliati.

Avevo bisogno di fare qualcosa che fosse così tanto diverso e nuovo da concedermi il lusso di non aspettarmi nulla, togliendomi l’ansia da prestazione che accompagna, per forza di cose ormai, i tiri in falesia, le vie che percorrono le pareti o i pendii innevati.

Solo io, un mezzo nuovo per me, un compagno di vita e di avventure che la bici l’ha comprata dopo aver prenotato il volo e che per staccarlo dal trave je devi sparà, la certezza che se fossimo sopravvissuti sarebbe stato un successo. Nessun obiettivo in termini di km, nessun obiettivo in termini di velocità, un’organizzazione sommaria necessaria quando parti con la bici, la tenda, il sacco a pelo e 5 kg di cibo a testa per attraversare una terra della quale grossomodo puoi aspettarti una sola cosa: che pioverà.

Il momento in cui cambi, prima di arrivare a destinazione

Siamo atterrati in Islanda ad inizio agosto. Abbiamo rimontato la bicicletta fuori dall’aeroporto e abbiamo iniziato a pedalare. Non ho né l’interesse a disegnare troppo nel dettaglio il tracciato che abbiamo fatto, sono stati 800 km partendo dalla capitale Reykjavík, spingendoci nell’entroterra verso le highlands passando da Thingvellir e Geysir, fino a Landmannalaugar, da lì una lenta discesa verso l’asfalto a sud fino a Skaftafell e al ghiacciaio Vatnajökull per poi tornare verso la capitale lungo la costa.

Credo che i luoghi, come le persone, abbiano il diritto di essere normali, se vuoi pure mediocri. Le terre, come le persone, sono per lo più quotidiane.

Ma l’itinerario non è così importante. Perché quello che importa invece l’ho capito dopo i primi giorni, mentre ci grandinava addosso e in lontananza vedevo un ghiacciaio, a sinistra mi scorrevano delle montagne di lava e a destra dei laghi, qua e là qualche placida pecora. Ho capito che il cuore pulsante di quello che stavamo disegnando era la strada normale, quella che percorri quotidianamente, che non è speciale, non ci sono cascate o geyser, c’è un panorama bello sì, ma senza accenti. Quel delfino che nuota placido, senza fare le acrobazie.

Credo che i luoghi, come le persone, abbiano il diritto di essere normali, se vuoi pure mediocri. Le terre, come le persone, sono per lo più quotidiane. Siamo tutti più spesso normali, che non significa banali, che è sinonimo di noiosi solo se si è un sacco stupidi. Siamo normali, come le strade che ci portano nei luoghi quelli dove devi averla una foto altrimenti cosa ci sei stato a fare in Islanda (o da qualsiasi altra parte) e a volte mi pare che ce lo stiamo togliendo a vicenda questo sacrosanto diritto, d’avere le caccole negli occhi al mattino o di essere solo una strada che taglia un territorio del quale forse è il caso di accorgersi lentamente, che forse bisognerebbe imparare a guardare, perché se ci pensi è lì che succedono i futuri ricordi, che capitano i momenti in cui cambi, prima di arrivare da qualche parte.

Quello che l’Islanda mi ha insegnato

Riguardando le foto mi son resa conto che ne ho tante di strade normali, di noi due stesi sfiancati e demoliti, dei punti in cui il panorama cambiava e ricordo che quei punti li ho notati tutti, lentamente.
Se c’è qualcosa di speciale che dobbiamo imparare a fare, nell’epoca in cui le avventure là fuori sembrano essere tali solo se estreme, dove l’estremo è un punto preciso tra l’ascissa della difficoltà e l’ordinata dei luoghi remoti ed esotici, forse è proprio questo imparare a stare dove si è in quel momento e intendo mentalmente, imparare a godersi la strada, alla pari degli arrivi.

E pure di geyser, vulcani, fiumi caldi che solcano in mezzo le montagne (davvero), ne abbiamo visti. Ma il mio ricordo vivido di questa terra è fatta, guarda caso, del new jersey che ci ha protetto per 10 minuti dal vento a bordo di una strada nel nulla, del colore del muschio verde acido che fa contrasto con la terra nera dei vulcani e che ti dà conforto all’ottavo fiume da guadare in bici, alle tappe modificate o eliminate perché così vanno questi viaggi e lì per lì ho rosicato ma poi l’ho capito, che non si può fare e vedere tutto, nemmeno si dovrebbe provarci.

Un viaggio così significa accettare che qualcosa andrà storto, tipo un ginocchio infiammato oppure quei 50 km che pensavi facili ma poi ti ritrovi raffiche di vento e sabbia nei denti e cambia tutto. Bisogna educarsi a lasciar fuori luoghi, persone, oggetti. Perché quello che rimane fuori definisce ciò che è importante dentro. Imparare a lasciar andare qualcosa perché tutto non ci starà mai, scegliendo ciò è importante e come farlo, per imparare a stare, pure fermi se serve, e accorgersi che si è già arrivati dove si voleva andare, ossia esattamente lì dove si è.

Dell’Islanda ho imparato moltissimo, dall’Islanda sono tornata davvero tanto cambiata, che poi se non è questo a definire il successo, più della performance, non so cosa potrebbe esserlo. Dall’Islanda più che tornare sono ripartita, con una testa e uno sguardo davvero tanto diverso, le gambe più sode e pure, come era giusto che fosse, la rinnovata voglia di tornare a scalare perché a ciò che si è bisogna dare aria, ai fuochi ricordarsi sempre di lasciare ossigeno, darsi spazio per creare, per ripensare, per nutrirsi.

Le avventure non finiscono qui!

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Alla prossima #AndeExplorers!

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