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Nepal Expedition – aggiornamento 02

Nepal Expedition
Aggiornamento 02

Silvia e Stefano sono sulla via del ritorno e in questo aggiornamento ci parlano delle fasi iniziali della spedizione fino al raggiungimento di Sato Peak.

Aggiornamento 01
Approach to Kambachen

Per scalare una montagna in Nepal bisogna prima “scalare” firme, carte e permessi apparentemente inutili, trasferimenti dalla capitale (centro nevralgico di tutte le attività per qualsiasi zona della nazione) alla zona scelta e diverse giornate di trekking.

L’area del Kangchenjunga è piuttosto remota e quel che noi italiani chiamiamo “avvicinamento” richiede più di una settimana. Ci imbattiamo così durante questa prima settimana in lunghissime giornate come passeggeri di jeep su strade sterrate e senza alcuna regola, in altrettanto lunghe attese di persone che ci devono aiutare con il trasporto dell’attrezzatura nel passaggio dalla jeep al trekking e nella tanto attesa immersione nella natura che fa da padrona a questa valle.

La nostra attrezzatura è trasportata dagli yak, guidati da un cosiddetto “yak man“. Gli yak camminano lenti e per tratte brevi, noi invece siamo impazienti di salire di quota per acclimatarci un po’ e di sgrancirci le gambe a passo spedito, dopo ormai una settimana inattivi. Decidiamo così di fidarci dello yak man sconosciuto, lasciamo i nostri bagagli che rivedremo speranzosi fra cinque giorni e ci immergiamo nella valle. Partiamo da Sekathum a quota 1550 metri e raggiungiamo Kambachen a quota 4100 metri. Il paesaggio cambia notevolmente di giorno in giorno: si passa dalla giungla verde e rigogliosa, alle prime piane con arbusti bassi e pareti ripide ma ancora boschive, alle enormi valli glaciali chiuse da impressionanti cime di roccia e neve di 6000 e 7000. I piccoli lodge che ci accolgono sono case in pietra allestite per ospitare i trekkers con pochi basici servizi come i letti su assi di legno, una sala da pranzo con un focolare nel mezzo ed una turca esterna. La difficoltà di comunicazione lascia comunque intendere la disponibilità di queste persone a cercare di fornirti il meglio che possono come il chapati caldo e cotto al momento, le omelette di uova appena covate e le zuppe di verdure appena colte dall’orto. La loro semplicità è d’ispirazione… rispetto al nostro stile di vita estremamente complesso.

Aggiornamento 02
Approach to base camp

Siamo a Kambachen da tre giorni perché per sgranchirci le gambe e alzarci di quota abbiamo percorso l’intero trekking in due giornate soltanto! Non abbiamo idea di quando esattamente nell’arco della giornata, ma aspettiamo un po’ ansiosi di vedere arrivare lo yak man.. Che fortunatamente compare all’orizzonte e ci permette di proseguire così la marcia verso il campo base l’indomani.

Il luogo che abbiamo individuato come campo base è in una valle secondaria sconosciuta persino ai locali ma dove qualche pastore di yak si é addentrato per il pascolo negli anni e, essendo noi accompagnati proprio da un pastore di yak, ci addentriamo senza esitazione per individuare la zona più alta possibile in termini di quota (e così più vicina alle nostre pareti) ma dove vi sia ancora presenza di acqua. L’acqua é fondamentale perché trascorrere due settimane abbondanti sciogliendo neve non sarebbe sostenibile, dovendo cucinare con un piccolo fornello da campeggio e relative bombole del gas.

Raggiungiamo così una piccola piana erbosa, racchiusa da dorsali moreniche ma protetta da eventuali crolli di roccia. Scarichiamo l’attrezzatura e salutiamo il nostro yak man: ci rivedremo tra un paio di settimane in data da comunicare tramite radio.. Per la seconda volta aspetteremo fiduciosi il suo arrivo senza possibilità di comunicare altrimenti!

Allestiamo il nostro piccolo campo con una tenda due posti, un cerchio di sassi per fare il fuoco, un cerchio di sassi come toilette e niente di più. Siamo soli in questa valle silenziosa. La vista sullo Janu è incredibile: una montagna tanto affascinante quanto minacciosa di 7800 metri che ostacola l’intera valle del Kangchenjunga a qualsiasi altra visuale e presenta una larga parete che cade verticale col suo versante nord per circa 2000 metri. Ci sono due soli rumori a farci compagnia durante queste settimane: lo sventolare di un paio di bandiere con le preghiere nepalesi che abbiamo appeso ai tiranti della tenda ed un uccellino misterioso che cinguetta puntuale al sorgere e al tramontare del sole ma senza farsi mai vedere.

Constatiamo subito come il Sato Peak sia più facilmente raggiungibile da qui rispetto allo Sharphu V, che é avvolto da cortine moreniche di roccia estremamente friabile e marcia. L’indomani cercheremo di avvicinarci ulteriormente al Sato Peak allestendo un campo base avanzato, necessario anche al nostro acclimatamento.

Aggiornamento 03
Days in the mountains

La salita verso il campo base avanzato é decisamente distruttiva. Ci inerpichiamo carichi come muli lungo dorsali moreniche ripidissime e l’aumentare di quota inizia a farsi sentire nel respiro affannoso. I polmoni schiacciati ulteriormente dagli zaini pesanti, testa bassa, passo lento.. E in qualche modo raggiungiamo la base del ghiacciaio che circonda il versante est e nord del Sato Peak. Decidiamo di fermarci qualche decina di metri prima del ghiacciaio, su una zona nevosa piana e al riparo da eventuali scariche di neve o crolli. Abbiamo una seconda tenda più leggera da montare e lasciare quassù insieme a tutta l’attrezzatura tecnica che abbiamo portato. Trascorriamo così la nostra prima notte al campo base avanzato a quota 5380. Sdraiarsi e tentare di dormire a questa altezza non é per niente piacevole, il mal di testa e la nausea ci tormentano, soprattutto con il sopraggiungere del buio quando le temperature precipitano e la notte a -20 metri passa lenta. Le ore di buio in questa stagione sono tante, dalle 5 e mezza del pomeriggio alle 6 del mattino circa, e l’escursione termica tra il giorno e la notte è molto accentuata.

Ad ogni modo, il campo base avanzato é un buon punto di acclimatamento e di deposito materiale. Trascorriamo così qualche giorno cercando di trovare la linea migliore di salita al Sato Peak e alternando le notti al campo avanzato a quelle al campo base per recuperare le forze. Pensavamo di approcciare la cima lungo la sua parete nord, percorrendo una linea di goulotte ma purtroppo non c’è la minima traccia di ghiaccio (che sarebbe essenziale) e la neve non è trasformata. Ci sembrava un buon piano anche prendere la cima dalla sua cresta ovest, interamente nevosa, ma nuovamente le condizioni della neve non ce lo permettono. Abbiamo studiato parecchio la cima anche prima di salire al campo base, da un buon punto panoramico nella valle di fronte. La montagna da una prospettiva sembra essere un cono con una cima unica; da vicino però si capisce che le cime sono due, separate da una cresta. Ci troviamo così costretti a scegliere l’approccio più lungo dalla cresta est perché rocciosa.

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